Alla direzione di The Lancet, rivista medico-scientifica tra le più conosciute al mondo, Richard Horton si è espresso su una possibile “food revolution” che potrebbe aver luogo proprio nel Bel Paese. Anche l’ONU da tempo ha indicato la dieta mediterranea come uno dei modelli alimentari in grado di frenare il surriscaldamento globale.

Nel frattempo la FAO si sta muovendo per promuovere le “diete sostenibili” ovvero quelle diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale per le generazioni presenti e future, proteggono e rispettano la biodiversità e gli ecosistemi, sono culturalmente accettabili, accessibili, economicamente giuste e convenienti. Secondo le stime della FAO le quantità di gas serra che derivano dagli allevamenti di bestiame quasi si equivalgono alle emissioni di tutti i mezzi di trasporto inquinanti di tutto il mondo.

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Qual è dunque la dieta più sostenibile?

Recenti studi indicano che la dieta mediterranea, oltre ad essere un modello di prevenzione per svariate patologie, è una dieta salubre e sostenibile. Non a caso negli anni la dieta mediterranea viene presa  come riferimento da molti nutrizionisti per la prescrizione di diete che seguono un regime dietetico sano.

Ma perché la dieta mediterranea è considerata una dieta sostenibile?

  • Prevede un elevato consumo di cibi di origine vegetale. La lavorazione di cereali, legumi, frutta e verdura, richiedono risorse naturali ed emissioni di gas serra inferiori rispetto alla produzione di grassi animali e carne rossa.
  • Nel passato per necessità si coltivava l’orto e ci si nutriva con i frutti della terra. Questo significa che seguendo la dieta mediterranea si predilige la stagionalità dei prodotti favorendo la spesa a km 0 e la biodiversità.
  • La carne rossa non era un alimento che tutti si potevano permettere, veniva consumata una volta a settimana nelle famiglie più fortunate. Per alcune si mangiava una volta al mese.
  • Si viveva in mezzo alla natura, in cascine e case bottega, a volte con poche risorse. Pesca e pollaio erano fonte di nutrimento e piccoli guadagni, va da sé che le principali fonti proteiche provenissero da uova, pesce e carne bianca.
  • La principale fonte di grassi era ed è l’olio d’oliva. Se si pensa alle regioni come la Puglia, la Calabria e la Sicilia che ancora oggi sono tra i maggiori produttori d’olio del Bel Paese e occupano un’ottima posizione a livello mondiale.
  • Il sale in origine era utilizzato come merce di scambio o per la conservazione degli alimenti. In origine si insaporivano i piatti con le erbe aromatiche per aumentare il gusto delle pietanze.

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Forse una coincidenza o forse no, ma ciò che fa bene al pianeta è lo stesso che fa bene al nostro organismo e di conseguenza alla nostra salute. Il ritorno alle vecchie e buone abitudini insieme alle comodità attuali nel reperimento degli alimenti, potrebbe essere in un futuro, non molto lontano, una piccola-grande rivoluzione delle nostre abitudini per vivere sano in un Pianeta in Salute.

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scritto da

Nata a Milano, architetto e foodstylist, è sempre alla ricerca di nuove tecniche di cottura e gesti quotidiani ecosostenibili. L’esperienza nel settore dell’energia le ha dato modo di approfondire l’argomento nel suo ambiente preferito della casa: la cucina.

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