Il riscaldamento è sicuramente una delle voci più importanti all’interno del bilancio familiare. Per questo quando si abita in un appartamento condiviso o in un condominio, la suddivisione delle spese è un tema da conoscere per evitare problemi.

In questo articolo, proviamo ad approfondire l’argomento, partendo dalla normativa.

 

Normativa ripartizione spese riscaldamento

In materia di ripartizione delle spese di riscaldamento, raffrescamento e di produzione di acqua calda sanitaria (ACS), si fa riferimento alla normativa UNI 10200, in vigore da fine 2018 e intitolata “Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale, estiva e produzione di acqua calda sanitaria - Criteri di ripartizione delle spese”. Essa contiene i criteri secondo cui dividere le suddette quote negli immobili equipaggiati con impianto centralizzato e chiarifica in che modo esse debbano essere ripartite proporzionalmente a quanto ciascuno ha effettivamente consumato. L’obiettivo di questa normativa è diminuire gli sprechi e incoraggiare l’ottimizzazione dei consumi.

 

Ripartizione spesa riscaldamento centralizzato

Prima di parlare di come devono essere suddivise le spese di riscaldamento nel condominio, chiariamo alcuni punti: innanzitutto, è utile sapere che le modalità di ripartizione delle spese condominiali tra i vari abitanti sono stabilite dal Codice Civile. In particolare, in esso si afferma che l’amministratore, nel dividere gli importi, deve sempre agire tenendo conto dei millesimi di proprietà. Viene autorizzato a non considerarle solo quando interviene la votazione unanime dei condòmini.

La stessa norma, però, contiene anche una deroga: se la suddivisione delle spese riguarda un servizio che serve i condomini in misura differente, è legittimo che i costi siano ripartiti a seconda dell’uso che ne fa ogni condomino. Ciò comporta addirittura che qualcuno ne sia escluso o che altri spendano meno o di più a seconda del vantaggio tratto dal servizio.

Una situazione del genere si può trovare, ad esempio, nel suddividere le spese dell’ascensore o del riscaldamento centralizzato appunto, dove si può tenere conto del fatto che l’uso da parte dei condomini può essere maggiore o minore a seconda di quanto è grande l’appartamento.

In particolare, per il riscaldamento centralizzato può essere usato il “criterio misto”, secondo il quale il 30% della quota è fisso e uguale per tutti, mentre il restante 70% è variabile e calcolato in base al consumo reale.

Ciò può essere messo in pratica distinguendo le spese di conservazione dell’impianto (manutenzione straordinaria) dalle spese di esercizio (ovvero i consumi normali).

Le spese di esercizio sono tracciabili facilmente attraverso le valvole termostatiche, obbligatorie per legge: queste indicano infatti le unità di calore consumate da ciascuno.

L’obbligo di contabilizzazione del calore nei condomini con riscaldamento centralizzato è entrato in vigore in Italia nel 2017. Tale obbligo è scaturito dal cosiddetto “Protocollo 20-20-20”, che ha l’obiettivo, in Italia, di ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica (CO2) entro il 2020. Il decreto legislativo 141/16, infatti, ha modificato il precedente decreto sul tema dell’efficienza energetica (Dlgs 102/2014). Queste leggi sono state imposte dall’Unione Europea con la direttiva 2012/27/Ue.

Di fatto dunque è obbligatorio per tutti i condomini munirsi di questi dispositivi.

Nel caso in cui, però, il palazzo condominiale ne sia privo, le spese di manutenzione ordinaria e le spese di esercizio vengono suddivise considerando l’uso che ogni condomino ne fa, ma quantificato secondo un metodo che tiene conto del fabbisogno teorico di ogni appartamento, calcolato attraverso vari criteri presenti nella prassi edilizia (ad esempio, la superficie irradiata, il numero delle bocchette o dei radiatori, ecc.).

Vengono poi esclusi dalla suddivisione i possessori dei locali che non possono essere allacciati per ragioni di conformità, i negozi e i box che non sono destinatari di diramazione e coloro che si sono distaccati dall’impianto centralizzato. In particolare, questi ultimi partecipano solo alle spese di manutenzione straordinaria, le cui parti vengono stabilite secondo i millesimi.

Ripartizione spesa riscaldamento centralizzato con valvole termostatiche 

Un impianto centralizzato dotato di contabilizzazione e termoregolazione dà origine a costi di due tipi:

  • Costi variabili volontari: riguardano i consumi reali effettuati da ogni unità immobiliare, secondo quanto indicato dai contabilizzatori ad hoc.
  • Costi fissi involontari: si tratta di spese indipendenti dal consumo del singolo condomino, come ad esempio la pulizia periodica, la manutenzione della caldaia, ecc. Essi sono suddivisi fra i condomini secondo i millesimi.

 

Passare da riscaldamento centralizzato ad autonomo

Il riscaldamento centralizzato è la tipologia di impianto più diffusa nei condomini, e per certi aspetti può essere una modalità veramente comoda. Ci sono però alcuni casi in cui potrebbe essere conveniente distaccarsi e munirsi di un impianto autonomo. Un impianto centralizzato, infatti, porta con sé una serie di svantaggi che è utile tenere in considerazione:

  • al fine di risparmiare il più possibile, periodi e orari di attivazione dipendono dalla legge, in base alla zona climatica in cui si trova il Comune, e da quanto accordato fra i condòmini durante l’assemblea. Ci possono essere situazioni, però, in cui gli orari stabiliti non sono adeguati alle reali abitudini della persona.
  • Anche se, a causa del proprio stile di vita, non si gode realmente del calore emanato durante le fasce orarie prestabilite, le spese devono essere comunque pagate.
  • Se ci sono condòmini morosi, si corre il rischio che le quote degli altri siano aumentate per sopperire al mancato pagamento.

 

Come passare da centralizzato ad autonomo

La possibilità di passare dall’impianto di riscaldamento centralizzato ad autonomo è prevista nell’articolo 1118 del Codice Civile, che è stato modificato dopo la riforma in materia di condominio del 2012.

Il comma 4 del suddetto articolo prevede che, da giugno 2013, un condomino possa distaccarsi dall’impianto di riscaldamento o condizionamento centralizzato se da questa azione non dipendono eccessivi aumenti di spesa o variazioni di funzionamento per gli altri condòmini. Colui che si distacca, però, sarà comunque tenuto a pagare le spese di conservazione, messa a norma e manutenzione straordinaria dell’impianto.

Dovrà inoltre seguire i seguenti passaggi:

  1. Ufficializzare la decisione con una adeguata comunicazione all’amministratore del condominio. Essa deve essere legittimata da una perizia, eseguita da un tecnico abilitato, che provi l’assenza di scompensi o eccessivi aumenti di spesa per gli altri condomini.
  2. A questo punto, l’amministratore ha il compito di informare gli altri condòmini della comunicazione inserendola come punto all’ordine del giorno dell’assemblea condominiale.
  3. Colui che sta procedendo al distacco dovrà occuparsi di installare adeguati sistemi di espulsione dei fumi di combustione, e munirsi di caldaia autonoma. Ovviamente poi dovrà predisporre adeguati interventi per organizzare il nuovo impianto all’interno dell’abitazione.

Dal riscaldamento centralizzato al riscaldamento autonomo: penali e costi

La decisione di distaccarsi dal riscaldamento centralizzato porta con sé alcune spese. Tra queste le più importanti riguardano l’adattamento del nuovo impianto dentro l’appartamento. Questa operazione, infatti, oltre alle opere murarie, chiama in causa la rete idraulica, con varie deviazioni dei tubi, allaccio e adeguamento del gas, distacco dall’impianto centralizzato, canna fumaria per lo scarico dei fumi. Sull’ammontare di questa spesa incide molto la dimensione della casa: più è piccola, meno si spende (3.200 - 4.800 euro).

Se poi si decide di montare una caldaia alimentata a fonti energetiche rinnovabili, è possibile usufruire degli sgravi contenuti nell’Ecobonus: c’è la possibilità di ammortizzare fino al 65% della spesa.

 

Calcolo ripartizioni spese condominiali in millesimi

I criteri di ripartizione delle spese condominiali inerenti agli spazi comuni, secondo il Codice Civile, possono essere diversi a seconda della situazione, ma quello più utilizzato è “in millesimi”.

Cosa significa questa espressione?

I millesimi indicano la quota di proprietà di ogni condomino, dove il condominio rappresenta mille e ogni unità un valore proporzionale all’interno di questo totale. I millesimi dei singoli proprietari vengono poi inseriti in una tabella.

Come si accerta il valore in millesimi dell’unità immobiliare? Nell’assegnare questo valore non bisogna tenere conto dello stato di manutenzione, del canone locatizio, dei miglioramenti o dello stato di conservazione di ogni unità: d’altro canto, però, nel Codice Civile non ci sono indicazioni su quali siano i criteri per calcolare i millesimi assegnati a ciascuno, perciò i tecnici addetti utilizzano delle linee guida contenute nella circolare 26 marzo 1966 n.12480 e 26 luglio 1993, partendo dalla quantità di metri quadri calpestabili contenuti in ogni locale dell’immobile. Una volta ottenuto questo numero, viene moltiplicato per i coefficienti di riduzione, che sono:

  • orientamento;
  • destinazione dei singoli locali;
  • piano;
  • luminosità;
  • prospetto;
  • orientamento;
  • funzionalità generale.

Al momento dell’acquisto dell’appartamento, i futuri possessori, firmando il contratto, si impegnano ad accettare anche la tabella millesimale, che si deve allegare al regolamento condominiale. Per modificare la tabella serve l’unanimità di tutti i condomini proprietari.

Esempi di calcolo in millesimi 

Una volta divise le varie proprietà in millesimi, qual è il calcolo da effettuare per ottenere la quota di spesa da assegnare a ciascuno?

Prendiamo come esempio di spesa una manutenzione di uno spazio comune, che ammonta a 1500 euro.

Supponiamo che la tabella millesimale, comprendente 6 condòmini, sia la seguente:

Condomino

Millesimi

Rossi

160,72

Bianchi

180

Gialli

150

Verdi

170

Neri

169,64

Viola

169,64

Totale

1000

 

A questo punto il calcolo da farsi sarà una proporzione:

1500 (la spesa totale) : 1000 (totale millesimi) = x (la quota di spesa per ogni singolo condomino) : quota millesimale di ogni condomino

Fatta la proporzione, si può calcolare ogni singola quota.

Per esempio, calcoliamo quanto dovrà spendere il signor Bianchi:

  • la proporzione sarà la seguente:

1500 : 1000 = x : 180

  • Risolviamo la proporzione: 1500 x 180 : 1000 = 270 €

Il signor Bianchi deve dunque spendere 270 euro. La stessa operazione va ripetuta per ogni singolo condòmino, ovviamente utilizzando nell’operazione i relativi millesimi.

 

Ripartizione bolletta coinquilini

Se vivi in un appartamento con altre persone, le spese devono essere suddivise. Possono capitare casi in cui la quota di affitto sia comprensiva di tutto, e altri in cui invece acqua, gas, luce, spese condominiali e Internet siano esclusi. La cosa viene decisa nel momento in cui si stipula il contratto.

La prassi comune, quando le spese non sono comprese nel canone, è che esse vengano divise in parti uguali tra tutti gli inquilini.

A chi intestare la bolletta? Suggerimenti di ripartizione tra inquilini

In certi casi, le bollette delle utenze sono intestate al proprietario, che dunque è responsabile di pagamenti che non dipendono da lui. Per questo spesso egli chiede agli inquilini che si intestino le utenze. Come stabilire quale sarà l’inquilino a cui dovrà essere intestato il contratto?

Prima di scegliere, è necessario chiarire che l’intestatario sarà il responsabile del pagamento.

Quando si entra in una nuova casa e viene richiesto di intestarsi una bolletta, ci sono due possibilità di azione:

  • subentro (il contatore di luce o gas viene attivato, nel caso in cui con il precedente inquilino fossero state cessate le utenze);
  • voltura (le utenze sono ancora attive, ma bisogna cambiare intestatario).

Una volta scelto l’intestatario, egli sarà responsabile del pagamento dell’utenza. Una volta pagata, dovrà poi chiedere la quota di ciascuno degli inquilini.

Al momento di intestare la bolletta della luce, per evitare costi aggiuntivi sarebbe meglio selezionare una persona che sia effettivamente residente nell’abitazione: infatti le spese fisse (ad esempio oneri di sistema e trasposto) sarebbero in questo caso sensibilmente ridotte, a seguito della riforma della tariffa degli oneri di sistema promulgata a gennaio 2017.

Se però nessun inquilino ha la residenza nella casa, la cosa migliore da fare è intestare la bolletta della luce a colui che rimarrà più tempo: in questo modo almeno i costi di voltura sarebbero ammortizzati.

Per quanto riguarda invece l’utenza del gas, la residenza o meno dell’intestatario non è importante ai fini della diminuzione o dell’aumento delle spese fisse. Semplicemente si può pensare di nominare come intestatario una persona diversa da quella dell’energia elettrica, in modo tale da dividere le responsabilità.

Una volta che in una casa arriva un nuovo coinquilino, egli deve essere informato di come vengono suddivise le spese e dei vari intestatari.

Se ci sono cambiamenti di persona in periodi intermedi tra una bolletta e l’altra, si può pensare di dividere la spesa secondo delle stime ragionevoli: ad esempio, se un inquilino lascia la casa a fine gennaio, la quota a lui spettante potrebbe essere divisa a metà fra lui e il nuovo inquilino subentrante.

 

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